
05/05/2025
Pochi sanno che Johann Sebastian Bach attraversò una quantità immensa di dolore nella sua vita. P***e una figlia ancora piccola, poi tre figli e successivamente anche la moglie, Maria Barbara. Dopo essersi risposato con Anna Magdalena, subì nuove perdite: altre quattro figlie e tre figli morirono prematuramente. In tutto, undici dei suoi venti figli non superarono l’infanzia.
Nonostante queste tragedie, Bach continuò a comporre. Continuò a scrivere cantate, messe, concerti, suite per violoncello e molte altre opere che ancora oggi consideriamo tra le più sublimi mai scritte. La domanda non detta è: come riuscì a farlo? Dove trovò la forza?
Una possibile risposta si trova nelle annotazioni che lasciava sugli spartiti. All’inizio di molte sue composizioni scriveva “J.J.”, abbreviazione di Jesu Juva, “Gesù aiutami”. Alla fine, invece, lasciava quasi sempre “S.D.G.”, Soli Deo Gloria, “Gloria solo a Dio”. Per Bach, la musica non era soltanto arte: era preghiera, era fede, era un dialogo continuo tra l’uomo e il divino.
È per questo che si può pregare ascoltando la sua musica. Perché la musica di Bach è, essa stessa, una preghiera.
E forse è proprio questo il miracolo più grande: trasformare il dolore in bellezza, il silenzio in armonia, la perdita in speranza.
In ogni nota che ci ha lasciato, c’è un frammento di eternità.