27/10/2025
Un ricordo «trasversale» di Jack DeJohnette, autentico figlio di un'epoca – i tardi anni Sessanta – in cui il jazz si lasciava rimescolare da tante altre musiche.
Appena qualche mese fa, sulla sua pagina Facebook, Jack DeJohnette ricordava come uno dei momenti determinanti della sua crescita musicale fosse stato l’ascolto dal vivo, nel 1969, di Sly & the Family Stone.
DeJohnette è stato sì uno dei grandi maestri della batteria jazz, ma spesso le sue imprese strettamente jazzistiche finiscono per far dimenticare che anche lui, come tanti colleghi della sua generazione (era nato nel 1942, tre anni prima di Tony Williams cui lo legano non poche analogie) ha vissuto in diretta, e in prima persona, i mutamenti tellurici della scena musicale di metà-fine anni Sessanta. Per questo ha potuto rivelarsi uno degli elementi chiave del cambio di prospettiva di Miles Davis, come ampiamente dimostrano le sue partecipazioni a «Bitches Brew» e ai successivi gruppi del trombettista, che culmineranno nella leggendaria band del 1970, quella con Gary Bartz e Keith Jarrett.
Per meglio entrare nel variegato mondo musicale di DeJohnette è necessario quindi mettere da parte i compartimenti stagni tanto cari agli appassionati del «vero jazz» e rendersi conto che il batterista (nonché pianista, percussionista, vibrafonista, cantante, compositore e tante altre cose) è figlio di un’epoca che aveva mischiato le carte a colpi di free jazz, di rock, di r&b, dando ai musicisti più aperti e avventurosi la possibilità di attingere agli elementi più disparati anche se apparentemente incongrui. Per intendersi, DeJohnette discende da Miles Davis tanto quanto da Jimi Hendrix e dall’appena citato Sly Stone, ed è assai velleitario e limitante cercare, nella sua musica, la prevalenza di questa o quella figura rispetto alle altre.
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